Il rischio di stabile organizzazione nella detenzione di immobili e partecipazioni in Italia tramite società estere

denaro e soldi... possono essere troppi?Il concetto di “stabile organizzazione” non va confuso con quello di una presenza stabile dell’impresa nel territorio dello Stato estero, né con il possesso di beni inscindibilmente legati a quel territorio.
Di per sé, dunque, il possesso di immobili in Italia da parte di un soggetto non residente (e, specularmente, il possesso di immobili esteri da parte di imprese italiane) non configura una stabile organizzazione.
La stessa Amministrazione Finanziaria italiana con la R.M. 13 dicembre 1989, prot. n. 460196 ha espressamente confermato tale assunto. Naturalmente, il discorso è diverso quando l’immobile non sia detenuto staticamente o meramente concesso in godimento a terzi (configurando in tal caso un investimento di capitale), ma diventi un elemento dell’attività svolta nel territorio dello Stato estero, come nel caso in cui l’immobile sia strumentale all’esercizio di una attività di impresa (si pensi alla gestione di un villaggio turistico) oppure costituisca esso stesso l’oggetto dell’attività di impresa, come nell’ipotesi del terreno acquistato, lottizzato e rivenduto per lucrare un plusvalore (sentenza della Cassazione n. 8820/1997).

Ancora, quando l’impresa estera controlla una società residente nell’altro Stato si produce un fenomeno del tutto diverso da quello della stabile organizzazione, con la creazione di una persona giuridica distinta, ma controllata dall’impresa estera. Questo non costituisce di per sé motivo sufficiente per il configurarsi della stabile organizzazione, secondo quanto confermato dall’articolo 5 del Modello OCSE e dalla norma interna.

Per eventuali approfondimenti: studiotributi.internazionale@gmail.com

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